CONVITTO PALMIERI:
Il Convitto Palmieri nasce, infatti, come convento francescano e quello che appare oggi è il risultato di diverse demolizioni e ricostruzioni, eseguite in archi temporali differenti, anche a distanza di secoli, come accadeva di frequente per l’edilizia religiosa.
Si tratta, quindi, di un vero e proprio complesso architettonico, articolato ma unitario, concepito e realizzato nel corso del tempo, il quale comprende al suo interno la Biblioteca provinciale “Nicola Bernardini” e la Chiesa di San Francesco della Scarpa. Proprio quest’ultima costituisce il sito originario attorno al quale furono edificati successivamente gli altri corpi di fabbrica del Convitto e la sua costruzione si fa risalire al passaggio di San Francesco d’Assisi in città, reduce dalla Siria. A Lecce, infatti, il santo fondò la prima Chiesa Minoritica del capoluogo salentino, che fu chiamata “Della Scarpa” proprio in onore dei sandali che lasciò in dono ai frati.
Inoltre, sempre secondo la leggenda, nel piccolo orto attiguo alla cappella, San Francesco piantò un albero d’arancio miracoloso, i cui frutti servivano a sfamare i poveri e alle cui foglie si attribuivano proprietà terapeutiche per la cura di alcune malattie.
Edificata nel 1273, come recitava l’epigrafe latina collocata un tempo nella facciata, la chiesa fu consacrata nel 1330 e, nel corso del tempo, subì profondi cambiamenti: la struttura originariamente a croce latina divenne, infatti, a croce greca e fu arricchita da dieci cappelle.
Nel XVI secolo fu realizzato il campanile a pianta quadrata e successivamente fu inserita una campana di fattura gallipolina. Nel 1600 l’edificio medievale fu sottoposto ad una riqualificazione in chiave barocca, per poi subire una radicale trasformazione negli anni ’70 del 1800 con la demolizione di sei cappelle e con l’abbattimento della facciata. Proprio per questo motivo, la Chiesa di San Francesco della Scarpa è conosciuta anche come “chiesa senza facciata”: l’unico ingresso rimasto è quello del portale minore, situato in Via Cairoli, il quale presenta un’ architrave contenente l’iscrizione: “Vos Estis Templum Dei” e nel cui timpano è collocato lo stemma dei padri conventuali. Dai resti rinvenuti, comunque, si può desumere che la facciata originaria fosse costituita da un unico portale d’ingresso con arco a sesto acuto, decorato da rilievi a foglie d’acanto e preceduto da un protiro con due leoni stilofori (che reggevano, cioè, delle colonne) al di sopra del quale era situato un rosone. Sia i leoni stilofori che il rosone sono attualmente conservati presso il Museo Catromediano di Lecce.
Al suo interno, la Chiesa di San Francesco della Scarpa presenta una navata unica, lungo la quale si trovano cinque altari e si affacciano due cappelle del ‘600: quella di San Luigi Gonzaga e quella dell’Annunziata.
Nella parte posteriore dell’altare maggiore, in una nicchia, è collocata la statua monumentale di San Giuseppe col Bambino: con i suoi 5.60 metri di altezza e con il suo peso di 5 quintali è considerata la statua in cartapesta più grande del mondo ed è stata realizzata nel 1833 da Vincenzo Oronzo Greco, abile cartapestaio leccese.
Negli ambienti confinanti con la chiesa, inoltre, la rimozione del pavimento moderno ha portato alla luce un’area cimiteriale su due piani alquanto estesa e all’interno delle tombe sono stati rinvenuti 10-15 defunti di sesso ed età diverse.
Anche la costruzione del convento risale al 1273, ad opera della città di Lecce e in favore dei frati francescani. Così il complesso costituito dalla chiesa, dal convento e dai giardini annessi, che si estendono per una superficie di circa 4.000 metri quadrati, fu denominato “isola di San Francesco”.
Il convento, corrispondente alla sola ala destra dell’attuale Convitto Palmieri, nei secoli successivi fu ampliato e ristrutturato in più punti: vennero, ad esempio, realizzate delle scale marmoree e fu edificata la torre campanaria, di sobria e robusta architettura.
Nel 1813 però, per volere di Napoleone Bonaparte, gli ordini religiosi furono soppressi, perciò i frati francescani furono costretti a lasciare l’edificio, il quale fu trasformato prima in un ufficio pubblico e poi successivamente, in un ospedale di cavalleria.
Fu solo nel 1816 che il convento dei francescani assunse la veste che noi tutti conosciamo: quella di scuola. Divenne, infatti, la sede del “Real Collegio educativo San Giuseppe”, istituito nel 1807 e collocato precedentemente presso il Convento degli Olivetani. La sua direzione fu affidata inizialmente a laici, poi, quando l’istruzione divenne nuovamente appannaggio degli ordini religiosi (negli anni 20 del 1800), furono chiamati a dirigerlo i Padri Gesuiti. Questi ultimi, a partire dal 1833 e per tutto il corso del secolo, realizzarono dei profondi lavori di ampliamento del complesso, allo scopo di adeguarlo alle esigenze funzionali imposte dalla sua nuova destinazione, conferendogli così la sua attuale configurazione. Furono, perciò, costruite ampie sale da studio e da dormitorio, lunghi corridoi e un magnifico salone per saggi a pian terreno.
A guidare i lavori fu l’architetto gesuita G. Battista Jazzeolla, a cui si deve l’odierna sistemazione della piazzetta, un tempo denominata “Piazzetta degli Studi” e il prospetto principale del convitto. Ispirandosi al tempio di Atena, l’architetto realizzò un maestoso propileo (cioè un colonnato posto al di sopra di una gradinata) sul cui timpano fu collocata la statua dell’Immacolata e sulla cui architrave domina ancora oggi l’iscrizione latina “Religioni et bonis artibus”. Nei primi anni del 1900 poi, al centro della piazzetta fu collocato il busto marmoreo del poeta Giosuè Carducci, al quale fu intitolata. L’opera fu realizzata dallo scultore leccese Luigi Guacci.
Per l’importanza che aveva raggiunto, nel 1852 il Real Collegio San Giuseppe fu elevato a “Real Liceo”, sempre sotto la direzione dei Gesuiti, con l’obbligo dell’insegnamento delle lettere italiane, latine e greche nonché del diritto civile e penale e nel 1857 anche della fisiologia, anatomia, chimica e della medicina legale.
Poco più tardi, con la caduta della Monarchia dei Borboni, i Gesuiti furono espulsi e il Real Collegio San Giuseppe divenne “Liceo Ginnasiale e Convitto Nazionale”, cui fu dato il nome dell’illustre economista e illuminista salentino del 1700, Giuseppe Palmieri.
Durante il periodo della Prima Guerra Mondiale, gli spazi della scuola furono adibiti a ospedale militare e la chiesa rimase chiusa al culto.
Nel 1960 il “Liceo Ginnasiale Giuseppe Palmieri” fu definitivamente trasferito nella sede attuale, in viale dell’Università, mentre il “Convitto Nazionale Palmieri” conservò la sua ubicazione, rimanendo in piazzetta Giosuè Carducci e continuando ad istruire e ad ospitare al suo interno i convittori (cioè gli allievi che oltre a studiare, restavano anche a dormire) e i semiconvittori (i quali, invece, studiavano solamente).
Nel 2000 il collegio chiuse per mancanza di alunni, cadendo in uno stato di totale dismissione. Solamente l’ala sud/est del Convitto continuò ad essere aperta, in quanto sede dell’Istituto Professionale “Scarambone”, trasferitosi, in seguito, in un’altra struttura.
I suoi spazi furono riaperti al pubblico nel 2009, a partire cioè dal momento in cui il Convitto Palmieri ha ospitato la Biblioteca provinciale “Nicola Bernardini” che comprende al suo interno la sala lettura, la sala multimediale, il teatrino, i molteplici spazi espositivi e gli uffici destinati all’accoglienza e alla consultazione degli archivi. Questa biblioteca, negli ultimi anni, si è arricchita per lasciti e acquisizioni, portando il patrimonio a circa 150.000 volumi e conserva tuttora il più interessante fondo di pergamene, manoscritti ed edizioni cinquecentesche che sia posseduto da un ente pubblico in tutto il Salento.
La sala del Teatrino, invece, in cui campeggiano i grandi dipinti raffiguranti i miti delle Metamorfosi di Ovidio, realizzati da Giovanni Tommasi Ferroni, è diventata sede di attività culturali e conferenze.
Oltre a queste tele, ad impreziosire i corridoi del Convitto Palmieri vi erano altri sessantotto dipinti, di notevole importanza non solo per la qualità, ma anche e soprattutto per il fatto di costituire l’unica collezione pubblica esistente in tutto il Salento. Dopo il furto di sei opere nel 1974, però, quest’ultima venne trasferita presso il Museo Provinciale, dove è possibile ammirarla tuttora.
Gli ultimi restauri che hanno interessato il Convitto Palmieri sono quelli realizzati dalla Provincia di Lecce, a partire dal 2014, finanziati con il Programma Operativo Interregionale “Attrattori culturali, naturali e turismo” (POIn), per un importo complessivo di 8 milioni di euro.
Di recente, inoltre, la piazzetta Giosuè Carducci è salita alla ribalta essendo stata scelta dal regista turco Ferzan Özpetek come ambientazione di alcune scene di due suoi film: “Mine vaganti” del 2010 e “Allacciate le cinture” del 2014, tanto da essere ribattezzata da alcuni, per questo motivo, “Piazzetta Ozpetek”.
Ieri come oggi, dunque, questo monumento così ricco di storia, di arte e di sacralità, che nel corso del tempo ha subito varie trasformazioni, costituisce una vera e propria pietra miliare e un luogo simbolo della città di Lecce.